<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Dal Ben, il reduce che denunciò
i crimini italiani contro gli slavi

Aldo Dal Ben durante la guerraAldo Dal Ben in visita ad Auschwitz nel 2003
Aldo Dal Ben durante la guerraAldo Dal Ben in visita ad Auschwitz nel 2003
Aldo Dal Ben durante la guerraAldo Dal Ben in visita ad Auschwitz nel 2003
Aldo Dal Ben durante la guerraAldo Dal Ben in visita ad Auschwitz nel 2003

È deceduto venerdì scorso Aldo Dal Ben, reduce di guerra ed ex internato nei lager nazisti. Classe 1921, il prossimo 6 novembre avrebbe compiuto 96 anni. Originario di Sossano (Vi), abitò a Lendinara (Ro) prima di stabilirsi, nel 1939, a Verona dove ha vissuto, a San Massimo inizialmente e poi, dal 1953, a San Zeno. Lavorò come saldatore e gestì anche un negozio di caccia e pesca.

Nell’aprile 1941, a 19 anni, venne spedito in guerra, nel regio esercito, sul fronte greco-albanese, ma fu quasi subito spostato su quello jugoslavo, in Montenegro, Bosnia Erzegovina e Croazia, fino al settembre 1943. Germania e Italia, infatti, proprio nell’aprile ’41 iniziarono l’invasione della Jugoslavia. Dopo l’armistizio, non volle vestire la divisa fascista repubblicana e non si aggregò neppure ai partigiani di Tito. I tedeschi lo catturarono a Ragusa (Dubrovnik) e lo inviarono nei lager. Dal Ben fu internato nel campo di Kustrin, sottocampo di Sachsenhausen, e passò anche per il lager di Auschwitz. L’avanzata dei russi, nel gennaio 1945, gli facilitò la prima fuga. Tra Cecoslovacchia ed Austria, infatti, venne nuovamente arrestato, dalla Gestapo, imprigionato a Vienna e portato nel lager di Semmering.

Nel maggio 1945, con altri compagni, riuscì a scappare su un camion lasciato dai tedeschi e a tornare a casa. Dal Ben qualche anno fa accettò di parlare della sua esperienza durante la guerra ed ebbe il coraggio di ricordare, tra l’altro, anche i crimini commessi pure dalle truppe italiane a danno della popolazione civile slava. Una verità scomoda, spesso taciuta. La sua, quindi, rimane una testimonianza rara e preziosa sotto il profilo storico. Egli concordava sul fatto che la guerra uccide dentro. «La guerra è la parola più brutta che esiste», così mi rispose nell’ultima domanda di una lunga intervista che raccolsi nel volume – scritto col professor Gracco Spaziani – intitolato “Ricordi di frontiera: guerra, foibe, esodo, fra Italia e Jugoslavia in alcune testimonianze veronesi (1941-1947)“ pubblicato nel 2009 da Cierre e dall’Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, col patrocinio del Comune di Verona.

Familiari e conoscenti lo saluteranno per l’ultima volta domani alle 16 nella chiesa di San Procolo, a San Zeno.

Marco Scipolo

Suggerimenti