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Consiglieri dimissionari,
a rischio la nomina negli enti

Michele Croce durante la prima seduta del Consiglio comunale
Michele Croce durante la prima seduta del Consiglio comunale
Michele Croce durante la prima seduta del Consiglio comunale
Michele Croce durante la prima seduta del Consiglio comunale

«Potrebbero esserci delle sorprese». È la frase sibillina che circola da alcuni giorni nei corridoi di Palazzo Barbieri. Le «sorprese» potrebbero riguardare tre dei cinque eletti in Consiglio comunale che hanno rinunciato ai loro posti in aula Gozzi alla vigilia della prima seduta.

Si tratta del leghista Enrico Corsi, di Michele Croce, ex candidato sindaco di Verona Pulita e di Bruno Tacchella, eletto nella lista di Battiti Verona Domani. Tutti e tre esponenti della maggioranza, quindi, che hanno deciso di farsi da pare in vista di una presidenza in un’azienda partecipata da Palazzo Barbieri. Per Corsi si parla dell’Apt, l’azienda trasporti, per Tacchella dell’Amia (ma dovrà fare un po’ di panchina perché la nomina dell’attuale presidente Andrea Miglioranzi scadrà nel 2018) e per Croce, addirittura di Veronafiere.

Ma, a differenza di Orietta Salemi (Pd) e Massimo Mariotti (Fratelli d’Italia), i tre non avevano firmato le dimissioni da consigliere, ma avevano presentato un atto di «non accettazione» dell’incarico. E la sera del primo Consiglio comunale, prima che si aprissero le votazioni sulla surroghe, era stato Alberto Bozza, della Lista Tosi, a chiedere al segretario generale lumi sull’ortodossia giuridica di tale prassi. E secondo il funzionario la comunicazione di non accettazione della nomina è equiparabile in toto all’atto di dimissioni.

Ma la cosa non finirebbe qui. E tale contenzioso giuridico potrebbe creare qualche grattacapo nel caso effettivamente i tre beneficiassero di qualche nomina.

Dopo la proclamazione da parte del Tribunale i consiglieri che poi avrebbero rinunciato, secondo qualche esperto di leggi erano da considerare a tutti gli effetti già consiglieri comunali regolarmente in carica. E la conseguenza, se un giudice avvalorasse tale interpretazione, sarebbe per loro infausta. A quel punto scatterebbe, infatti, il periodo di «purgatorio» previsto dalla legge che impedisce a qualsiasi amministratore pubblico di assumere incarichi in un’azienda controllata dallo stesso ente prima di due anni. Ovviamente, per ora, si tratta solo di ipotesi, dal momento che non esistono precedenti di questo tipo.

Intanto, sia esponenti della maggioranza che dell’opposizione invitano ad osservare che le cinque delibere di surrogazione erano state predisposte in maniera assolutamente standard, sia per i due dimissionari, sia per i tre che hanno presentato l’atto di «non accettazione» dell’elezione in Consiglio. E ciò, affermano, li metterebbe al riparo da possibili ricorsi.E.S.

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