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Cecilia Strada a Univerò
«Non credete a chi soffia sul fuoco della paura»

Cecilia Strada di Emergency
Cecilia Strada di Emergency
Cecilia Strada di Emergency
Cecilia Strada di Emergency

«Almeno quattro migranti su dieci che arrivano in Italia ricevono asilo e protezione umanitaria, ma probabilmente sono anche di più. Gli altri sono persone che inseguono un sogno. Con quale diritto si può impedire loro di cercare di migliorare la propria vita?». Cecilia Strada, presidente di Emergency, ieri pomeriggio ha fatto tappa al polo universitario Santa Marta in occasione di UniVerò, per raccontare le storie incrociate in anni di progetti nel mondo dedicati agli altri.

Afghanistan, Libia, Sudan, Sierra Leone, sono solo alcuni dei Paesi in cui l'associazione umanitaria è presente, e l'esperienza sul campo, si sa, chiarisce le idee. «I ragazzi italiani che vanno all’estero li chiamano “Generazione Berlino”, oppure cervelli in fuga, sempre con un connotato positivo che risalta le loro capacità. Ma sono pur sempre migranti economici, proprio come chi viene etichettato semplicemente come clandestino», commenta Strada. E a chi dice «dobbiamo rimandarli a casa e aiutarli nei loro Paesi», la presidente di Emergency risponde senza mezzi termini: «Non vedo la fila di persone pronte a dare una mano in Sierra Leone per curare i malati di Ebola o per assistere le vittime della guerra in Libia. Si tratta di frasi che, in bocca alla gente comune risultano di una retorica ipocrita e si traducono nel concetto “non li aiuto né a casa loro né a casa mia”. Se pronunciate dai politici sono ancora più gravi, perché hanno tutti gli strumenti per capire e intervenire. Un modo per dare una mano, per esempio, sarebbe quello di smettere di fornire armi ai paesi in lotta e fermento, eppure l'Italia è tra i principali esportatori».

Cecilia Strada fa notare poi che, la maggior parte delle persone che sbarcano in Italia, non sono interessate a restarci: vorrebbero cercare lavoro altrove, o ritrovare parenti e amici che magari vivono in altri Stati. «Il sistema di accoglienza li obbliga a stare in Italia, rimanendo per mesi a guardare il soffitto senza sapere cosa ne sarà di loro. Questo non fa bene né ai rifugiati, persone fragili che rischiano di essere agganciate da giri malavitosi, né ai vicini di casa italiani che li vedono da fuori. La burocrazia va snellita, per eliminare la segregazione e garantire dignità».L’esperta di cooperazione lancia infine un appello forte ai giovani: «Non credete a chi soffia sul fuoco. Cercate sempre le fonti di ciò che vi viene detto e documentatevi, evitando di dare ascolto alla pancia e alla paura». C.BAZZ.

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