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Il Gip: imputazione coatta

Caso Report, querele
tutte archiviate
«E Tosi calunniò»

Flavio Tosi, sindaco di Verona
Flavio Tosi, sindaco di Verona
Flavio Tosi, sindaco di Verona
Flavio Tosi, sindaco di Verona

Archiviate le 8 querele per diffamazione e una per millantato credito e sostituzione di persona a carico di Sigfrido Ranucci, giornalista di Report, tra le quali anche quella di Flavio Tosi e imputazione coatta per il sindaco, con l’accusa di calunnia e diffamazione ai danni del coautore di Report. 
La partita a suon di querele, partita nella primavera del 2014 con l’annuncio della messa in onda della trasmissione di Rai3 Report su Tosi e suoi presunti rapporti con la ’ndrangheta si risolve con la fuoriuscita di Ranucci, assistito da Luca Tirapelle, da ogni guaio giudiziario.
 
Contemporaneamente va avanti, invece, l’inchiesta su Tosi con l’accusa di calunnia per aver denunciato per diffamazione Ranucci, sapendolo innocente. Nei guai per la sola calunnia è finito anche Sergio Borsato, che tentò di scoprire l’attività giornalistica di Ranucci. La decisione è stata presa dal gip Livia Magri che doveva valutare sulle richieste di archiviazione, presentate sia per Ranucci che per Tosi dal pm Elisabetta Labate.
Nell’ordinanza d’imputazione coatta, il giudice parla «di assenza di buona fede nella querela di Tosi». Il riferimento è anche al presunto video hard nel quale apparirebbe il primo cittadino. Proprio su questo filmato, definito «fantomatico» dalla Gabanelli durante la trasmissione, stava lavorando Report che aveva ipotizzato un ricatto politico ai danni di Tosi.
 
«Tosi ha taciuto nella sua querela», scrive il gip Magri, «che proprio Borsato aveva sin dal primo momento confermato la sicura esistenza del video hard assumendo di esserne egli stesso in possesso». Un’omissione da non sottovalutare: «La circostanza che fosse Borsato a sostenere l’esistenza del video hard dimostrava che Ranucci, lungi dall’andarsene in giro a diffamare Tosi, stava verificando la veridicità delle notizie». Ma c’è un’altra circostanza: «Tosi ha omesso di riferire in querela che l’incarico da lui conferito a Borsato era (...) di carpire il maggior numero di informazioni sul contenuto del dossier costruito dal giornalista». In questo modo, sostiene il giudice, era stato congegnato il «trappolone» come disse Milena Gabanelli durante la trasmissione.
 
Tosi dovrà poi difendersi dall’accusa di diffamazione ai danni di Ranucci. «Si deve sottolineare la miriade di epiteti volgari e offensivi che Tosi ha rivolto a Ranucci e a Report». E conclude: «Non si è trattato di una reazione intervenuta in stato d’ira (...), ma di una meditata e sistematica attività denigratoria di Tosi». Per le accuse di diffamazione rivolte a Ranucci, il gip scrive che ha esposto «i risultati dell’inchiesta giornalistica sempre nel rigoroso rispetto del requisito della verità delle notizie».
 
La replica di Tosi non si è fatta attendere: «La vittima rischia di passare per il colpevole. È interessante notare come il pubblico ministero avesse chiesto l’archiviazione mentre il gip non ha accolto la proposta della sua collega». Il sindaco poi ricorda che Ranucci in una delle conversazioni registrate e agli atti si vantava di rapporti coi servizi segreti e magistrati. «Abitualmente in queste occasioni viene detto “ho fiducia nella magistratura”: in ogni caso, pur nel massimo rispetto per le istituzioni, ivi compresa la magistratura, spero che le frasi di Ranucci fossero solo millanterie. In questi giorni, le cronache sono piene di casi in cui il colpevole passa per innocente e viceversa». Ora la parola passa alle aule di giustizia.

Giampaolo Chavan

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