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NOSTRA INCHIESTA

Baby prostitute,
le nuove schiave
in zona industriale

di Alessandra Vaccari
In Zai sono decine le minorenni nigeriane che si prostituiscono
In Zai sono decine le minorenni nigeriane che si prostituiscono
In Zai sono decine le minorenni nigeriane che si prostituiscono
In Zai sono decine le minorenni nigeriane che si prostituiscono

Baby prostitute, fisici gracili, 42 chili di carne da macello, corpi da vendere a italiani «che piace andare con le baby», dicono le lucciole più vecchie. E vecchia va inteso sui 25 anni.

C’è un’invasione di prostitute nigeriane che hanno meno di 18 anni. Lavorano in Zai, nelle svariate strade che costeggiano aziende chiuse la sera. L’unico passeggio che trovi da queste parti è il loro. E quello di qualche camionista dell’Est, spesso violento e ubriaco.

Una serata con i volontari della comunità Papa Giovanni XXIII. Loro di solito escono il venerdì. Ma quello scorso pioveva e così l’uscita è stata martedì notte. Sono Antonio, che in strada va da 15 anni, Michela, che ci va da sette e Martina, da due.

Alcune delle ragazze li conoscono e riconoscono, altre, quelle nuove e molto diffidenti rispondono a monosillabi. La Papa Giovanni avrebbe molto da offrire a queste ragazze: «Se decidessero di lasciare la strada noi siamo in grado di ospitarle fino a quando non fossero in grado di essere autonome. Anche per anni. Ma accade di rado. Certe provano, ma dopo qualche giorno da noi, tornano pentite indietro. Ci raccontano che quello che accade loro in strada non è peggio di quello che hanno già vissuto. E poi c’è il racket: debiti da pagare con le organizzazioni criminali che le hanno fatte arrivare qui. La paura dei riti Vudù, che a noi fanno ridere, ma nella loro cultura sono molto temuti. E poi il fatto che si sentono in colpa verso magari i genitori che le hanno spedite qui, magari a fare fortuna, e a cui non raccontano poi che vita fanno. E se si ribellano ai loro aguzzini (spesso donne a loro volta), il rischio che gli ammazzino sorelle, fratelli, madri».

Una via dopo l’altra spuntano questi corpi esili. Hanno tutte parrucche dai lunghi capelli in testa, spesso di colore rosso, come se fossero in divisa. Le ultime arrivate sono più coperte, legging, felpe, tacchi. Quelle che da qualche anno sono in strada collant, hot pant.

Le loro storie tutte simili, tristemente scontate. Tutte raccontano di avere vent’anni, parlano inglese, e dicono di essere arrivate con i barconi a Lampedusa.

Alcune chiedono di pregare. Sono tutte molto credenti, sono pentecostali. E conoscono bene le preghiere, così assieme ai volontari si mettono in cerchio, stringendosi le mani. E pregano. E si commuovono. La preghiera è un momento intimo, sveli la tua anima e la affidi e queste ragazze sono molto concentrate quando pregano, quasi che dopo, possano avere una bonus per una vita migliore.

«Mia mamma sta male», dice un’altra delle ragazze che incontriamo poco dopo, «preghiamo insieme per lei?». Si riforma il cerchio. A lato strada passano le auto, alcuni camion. Gli autisti guardano. Forse stiamo rallentando i loro propositi.

«Avete visto quante ragazzine ci sono?», dice una delle lucciole più grandi, «ne sono arrivate tantissime, d’altra parte agli italiani piace andare con le bambine. Io ho meno lavoro da quando sono arrivate loro». E «loro» sono qui da un mese e mezzo circa.

«Ho 22 anni e sono un’insegnante», dice una di loro, «qualche giorno fa dei ragazzi mi hanno picchiata, mi hanno portato via la borsetta e il cellulare. Adesso non ho più neanche quello e non posso telefonare». Indossa una felpa con la tasca inserita davanti dove senti il rumore di plastica, forse qualche confezione di preservativi. E già il fatto che li usasse sarebbe un successo. «I clienti non vogliono fare sesso protetto, e queste ragazzine sono disposte a tutto pur di guadagnare, infatti sono in aumento le malattie a trasmissione sessuale», dicono i volontari.

Tutte quando si fanno domande ripetono nello stesso modo, come se fossero state istruite a rispondere: «Abito a Borgo Roma, con amica. Sto bene, va tutto bene». Si preoccupano di sapere se in giro ci sono poliziotti.

«Meglio la polizia, quella ci dice di andare a casa e basta. I vigili invece fanno le multe», dicono.

Passano le ore, preghiere insieme, mani che si stringono, abbracci che avvolgono e stringono il cuore. Queste ragazze sono qui in strada a bruciarsi la vita perchè c’è domanda. Tanta domanda. Il rischio adesso è che essendo arrivate così tante ragazze si inflazionino pure loro.

I volontari della Papa Giovanni continueranno ad andare in strada, a tendere loro le mani, ad abbracciarle, una volta tanto con il calore dell’affetto e non con la smania di un atto sessuale a pagamento. Venerdì sera, chi vuole può partecipare all’iniziativa promossa dalla comunità sulla Bresciana, nei pressi del distributore dove venne uccisa Venetita, una lucciola romena ammazzata di botte da un uomo rimasto per ora impunito.

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