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Aida non delude mai
Trionfo e tutto esaurito

LAida al debutto ieri sera, nella rievocazione storica versione De Bosio FOTO BRENZONI
LAida al debutto ieri sera, nella rievocazione storica versione De Bosio FOTO BRENZONI
LAida al debutto ieri sera, nella rievocazione storica versione De Bosio FOTO BRENZONI
LAida al debutto ieri sera, nella rievocazione storica versione De Bosio FOTO BRENZONI

Tutto esaurito in Arena ieri per la seconda serata del festival lirico con la prima di Aida, un classico per il pubblico di melomani. E anche ieri, pur con l’inizio in ritardo per la bufera che ha causato qualche danno alla scenografia, sono stati grandi applausi per il capolavoro di Verdi.

La rievocazione storica di Aida - riesumata nel 1982 per iniziativa di Gianfranco De Bosio - ogni volta che torna in scena, come ieri sera in una Arena gremita (che ci ha fatto ricordare i bei tempi andati), riesce a compiere quel miracolo di sembrare senza tempo.

Lo spettacolo viene presentato con vari accorgimenti che ne hanno sveltito e resa più duttile la maneggevolezza, senza farne perdere in godibilità e dettaglio. Un lavoro minuzioso e certosino, quello compiuto da De Bosio, che ha contribuito a calibrare le scene con l’intento, non secondario, anzi, di rimarcare quanto l’idea originale di Fagiuoli sia stata capace di insinuarsi stupendamente nella drammaturgia verdiana e di esaltarne ogni minimo particolare.

E come sempre nel medesimo contesto si ritagliano le coreografie di Susanna Egri, in sintonia con l’evidenza musicale di danze che sono le migliori fra tutte quelle scritte da Verdi. La naturalezza di questa Aida è attuale e pare destinata a durare ancora per diversi anni. Da un lato riguarda il rapporto dell’immaginario egizio realizzato da Fagiuoli rispetto al monumentale contenitore archeologico che è l’Arena. Dall’altro, l’efficacia con cui questo meccanismo aderisce al dramma consentendone una ripartizione precisa e cristallina, ad onta degli spazi, e permettendo di giostrare al meglio entrambe le partite interpretative suggerite dall’opera: l’esteriorità esotica e grandiosa e la densità psicologica, intima e tragica.

Questi due poli ci sono sembrati presenti nella direzione di Julian Kovatchev, oggi rimesso dagli infortuni in cui è incorso nella passata stagione ed ormai bacchetta espertissima per aver affrontato quest’opera in diverse occasioni.

Allora Aida diventa per il direttore bulgaro passione e violenza, ma anche vitalità ed eleganza: un affresco policromo delineato con ricche tinte e accentuati contrasti. Le basi sono solide fin dal Preludio misterioso, costruito su tenui trasparenze.

Non c’è pagina della quale non si debba poi lodare la ricchezza dei piani sonori, la maestosità di prospettive espressa da suoni soffici e pastosi. Tutti momenti non autonomi, ma concatenati l’uno all’altro, a costituire una serrata continuità drammatica che tende l’arco come in un’unica campata.

Nella parte della protagonista ritornava Hui He, una cantante che è l’elemento maggiormente caratterizzante di questa edizione e che ormai si identifica nello stesso personaggio di Aida, per incisiva presenza scenica e consapevolezza musicale, ma in grado pure di proporre qualità e controllo su ogni elemento della linea di canto, come le eleganti mezze voci sempre ben timbrate.

Quella di Radames spettava al debuttante azerbaigiano Yousif Eyvazov (lo ricordavamo in Cavalleria rusticana al Filarmonico), un tenore impetuoso ed eroico nella declamazione più che nel colore passionale ed espressivo, con sostanziale tenuta sulle note acute.

Amneris era invece Ildiko Komlosi -mezzosoprano che vanta una carriera internazionale di eccellenza- intenta a disegnare una principessa tesa e drammatica con un fraseggio ricco e di buona eguaglianza nel colore. E un timbro, dove robustezza e facilità estrema nel sostenere le frasi più impervie, sono ben ancorate alla logica drammatica della situazione teatrale. Ambrogio Maestri in Amonasro si è proposto con un taglio interpretativo di risentito vigore e buona evidenza timbrica in tutte le zone della tessitura.

Ruvido invece il Ramfis di Rafal Sivek, più morbido il Re di Carlo Cigni. A posto il messaggero di Antonello Ceron, come la sacerdotessa della veronese Alice Marini. Il coro istruito da Vito Lombardi è andato felicemente sugli scudi, festeggiato al termine con tutti gli interpreti.

Gianni Villani

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