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«FORZA ITALIA»

A San Zeno si tifa
davanti
al maxischermo

Tifosi davanti al maxischermo a San Zeno (Marchiori)
Tifosi davanti al maxischermo a San Zeno (Marchiori)
I tifosi veronesi davanti al maxischermo (Marchiori)

C è un filo di storia che lega Verona e la Spagna, al di là dei maxischermi installati oggi per la partita Italia-Spagna, dalle 18, negli storici impianti del Crazy che ospitano la prima edizione del Garden's Wall Festival. Sul campo di Via Tommaso Da Vico è possibile seguire gratuitamente l’ottavo di finale degli Europei grazie ai maxischermi, con la possibilità di degustare una pregiata selezione di birre inglesi accompagnate con fish & chips.

Mai come in questi giorni, dopo la prima in Arena con la Carmen di Bizet e il galà tutto spagnolo in Gran Guardia, c’è da chiedersi quanta Spagna c’è nella storia di Verona. C’è stato un tempo, ovviamente molti secoli fa, nel quale Verona ha promesso fedeltà ad un grande sovrano spagnolo. Era il gennaio del 1275, quando la nostra città con Mantova, Novara, Asti e Genova, promise fedeltà ad Alfonso di Castiglia, «essendo egli chiamato ad essere il re dei Romani», cioè imperatore, mentre le città guelfe e i guelfi veronesi in esilio appoggiarono Rodolfo d’Asburgo. Ad Alfonso, però, andò male: fu il candidato guelfo ad avere la meglio ed a diventare imperatore.

Ma, politica a parte, il più significativo legame culturale con la Spagna è uno dei più importanti manoscritti della Biblioteca Capitolare. Porta il numero 84. Si tratta dell’Orazionale Mozarabico, un libro di preghiere liturgiche, scritto in Spagna per la chiesa di Toledo, in scrittura minuscola visigotica dell’VIII secolo, e giunto in riva all’Adige, nello stesso secolo, dopo essere passato per Cagliari e Pisa. Questo libro di preghiere cristiane spagnole è famoso comunque non tanto per il valore religioso, ma perché a pagina 3, sul recto, quando il manoscritto è giunto a Verona, uno scrivano, forse, per provare la sua penna, scrisse: «Separeba boves, alba pratalia araba, albo versorio teneba et negro semen seminaba», che in chiaro italiano vuole dire: «Conducevo avanti i buoi (cioè le due dita della mano), aravo i bianchi prati (cioè le pagine del libro che erano bianche prima di essere scritte), tenevo un bianco aratro (che è la penna d'oca) e seminavo la negra semente (cioè l'inchiostro)».

È il famoso Indovinello veronese, scoperto nel 1924 da un linguista italiano che ha ritrovato in queste parole, dalle quali è facile indovinare che si tratta della scrittura, messa a confronto con il mondo dei campi, la nascita del volgare italiano. Infatti queste parole non sono più latino, in quanto sono cadute le desinenze, si sono chiusi i dittonghi: insomma sta nascendo la nuova lingua.

Passa per la Spagna, anche il ritorno di Verona a Venezia. Come? Dopo che nell’agosto del 1516, i Veneziani, alleati con i Francesi, assediarono la città, e dopo che Massimiliano accettò la somma di 200 mila ducati, offerti dai Veneziani per riavere Verona, il 3 dicembre venne stilato il trattato di Bruxelles: Massimiliano però donò Verona al nipote Carlo re di Spagna, il quale la cedette alla Francia e questa a Venezia. Come si diceva: «Franza o Spagna purché se magna».E. Cerp.

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