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«Sì, servono più omelie e meno prediche»

LA PAROLA DELLA DOMENICA. È stata raccolta positivamente dai parroci veronesi la «tirata d'orecchie» di Papa Francesco che invita a discorsi brevi e semplici

Don Carlo Vinco: «Sono i fedeli a chiedercelo». Don Brugnoli: «La situazione è disastrosa». Don Falavegna: «Dialogo prezioso»
Ai parroci, giovani o anziani, il Papa ha rivolto una precisa indicazione: omelie brevi semplici, comprensibili per chi ascolta
Ai parroci, giovani o anziani, il Papa ha rivolto una precisa indicazione: omelie brevi semplici, comprensibili per chi ascolta
Ai parroci, giovani o anziani, il Papa ha rivolto una precisa indicazione: omelie brevi semplici, comprensibili per chi ascolta
Ai parroci, giovani o anziani, il Papa ha rivolto una precisa indicazione: omelie brevi semplici, comprensibili per chi ascolta

Basta con «queste omelie interminabili, noiose, nelle quali non si capisce niente». Il monito, sembra quasi lo sbuffo di un giovane discolo che controvoglia ascolta messa seduto, tra i genitori, sui banchi di una chiesa. E invece, l'affettuosa tirata d'orecchie arriva nientemeno che da Papa Francesco in persona che l'altro giorno, incontrando il clero nella cattedrale di San Rufino - tappa del suo pellegrinaggio ad Assisi, così si è rivolto ai sacerdoti. Aggiungendo un ironico, «questo è per voi, eh?», come per fugare ogni dubbio. Si tratta di un'indicazione, più che di un suggerimento, suggellata dagli applausi e dalle risate dei fedeli, formulata durante uno dei suoi molti «fuori programma» e arrivata dritta ai presenti. E non solo. Raccontata dai media, ha fatto in poche ore il giro del globo approdando anche in riva all'Adige, nelle parrocchie e nelle canoniche della città, che ne hanno colto un interessante spunto di riflessione, anche personale. «Indubbiamente si tratta di metodi e “stili” che ciascun parroco ha. Papa Francesco ci sta dando un esempio di omelia semplice e molto breve. E ritengo sia una modalità che dovremmo recuperare: a chiedercelo in primis sono gli stessi fedeli», è il parere di don Carlo Vinco, parroco del Tempio Votivo. Per Vinco, componente essenziale di quei minuti di «discorso amicale», volgarmente chiamati predica, è la vicinanza alla quotidianità delle persone, la «concretezza». «Una concretezza che non si traduce in esempi banali ma nella misericordia verso ogni situazione di vita». «La situazione delle omelie nel clero è davvero disastrosa. Non credo sia questione di tempo, di minuti di parlato, ma di contenuti. Il nostro compito non è veicolare idee, morale, ma la Parola di Dio, nella sua fantastica semplicità». Questa voce piuttosto critica appartiene a don Andrea Brugnoli, parroco di San Zeno alla Zai e fondatore dei gruppi di giovani che scendono nelle strade, nei luoghi di aggregazione dei coetanei, proprio per diffondere la Parola.  «Il proposito che mi sono dato è quello di seguire la parola di Isaia: consolate il mio popolo. L'omelia deve essere sempre e necessariamente una buona notizia. Una speranza che ci riguardi, che sia attinente alla quotidianità di ciascuno di noi e in cui ciascuno possa trovare Dio. Il compito di noi sacerdoti deve essere quello di annunciare e diffondere parole di speranza e di bontà, non un ordine morale», puntualizza Brugnoli. «Il nostro compito non è creare steccati morali ma aprire alla vita, qualsiasi essa sia», concorda infatti don Vinco. Non di sole omelie, però, è fatta la comunicazione che avviene tra sacerdote e i suoi fedeli. Ne è convinto, ad esempio, monsignor Antonio Finardi, parroco della Cattedrale. «Chi vive nella pastorale incontra la gente e comunica con la gente durante l'intera celebrazione, non solo durante l'omelia. Ogni singolo momento della funzione religiosa deve essere pensata per trasmettere un'idea, un concetto: ciò che ho preparato e che diventa il mio obiettivo di comunicazione diretta. Un canto vivacissimo, ad esempio, è capace di legare la vita alla parola», spiega Finardi. «Il grande insegnamento che Papa Francesco ci sta dando è anche quello dell'attenzione ai segni indiretti: la liturgia è anche nei gesti, non solo nelle parole. Usiamo tutto ciò che possiamo per comunicare la Parola e in primo luogo noi stessi, la nostra testa e il nostro cuore». Certo è che i veri giudici delle omelie dei parroci non possono essere che i fedeli che, settimana dopo settimana, si radunano in chiesa per ascoltare attraverso la voce del sacerdote, insegnamenti e speranza. «Bisognerebbe chiedere a loro», ironizza infatti monsignor Rino Breoni, rettore di San Lorenzo. «Il fatto è che siamo mercanti di una mercanzia che interessa a pochi. Papa Francesco fa benissimo a dire ciò che dice. Ma è pur sempre il Papa. I parroci, invece, talvolta hanno di fronte una platea che sente ma non ascolta», riflette don Breoni, aprendo un'altra parentesi interessante e lanciando una provocazione. «Tra sabato sera e domenica, in centro ci sono oltre 180 messe. Molti ci inciampano dentro e finiscono con l'ascoltare la funzione per abitudine, per routine. E' ovviamente un'ipotesi del tutto teorica ma se provassimo a ridurre drasticamente questi numeri, avremmo i fedeli che entrano in questa o in quella parrocchia per vera volontà, senza tardare e con la voglia di ascoltare attivamente la Parola». Dopodiché, la Parola davvero passa al parroco. «E il suo dovrà necessariamente essere un discorso stringato, asciutto, che non si dilunghi oltre i 10, 15 minuti al massimo. Ma in cui ogni singolo vocabolo sia frutto di studio e di preparazione. Le riflessioni che proponiamo dovranno contenere, pur nella centralità della parola di Dio, elementi che trovano riscontro nella quotidianità. E in ciò che noi stessi abbiamo per primi vissuto», interviene don Ezio Falavegna, parroco dei Santi Apostoli. «Del resto, l'omelia è l'unico prezioso momento di comunicazione diretta con il 95 per cento dei nostri fedeli. Non ne dobbiamo sprecare nemmeno un istante». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Ilaria Noro

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