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È l'ultima speranza per salvarlo

Il piccolo Alex
a Roma: trapianto
da genitore

È l'ultima speranza per salvarlo
Il piccolo Alessandro, di un anno e mezzo di vita,con il padre, Paolo Montresor nativo di Colà di Lazise e la mamma Cristiana
Il piccolo Alessandro, di un anno e mezzo di vita,con il padre, Paolo Montresor nativo di Colà di Lazise e la mamma Cristiana
Il piccolo Alessandro, di un anno e mezzo di vita,con il padre, Paolo Montresor nativo di Colà di Lazise e la mamma Cristiana
Il piccolo Alessandro, di un anno e mezzo di vita,con il padre, Paolo Montresor nativo di Colà di Lazise e la mamma Cristiana

Il piccolo Alessandro Maria Montresor è arrivato in Italia e, secondo quanto si apprende, sta giungendo all’Ospedale Bambino Gesù di Roma da Londra. Alex, che ha 18 mesi ed una grave patologia genetica, era ricoverato al Great Ormond Street Hospital di Londra. Fino ad oggi, non ha avuto successo la ricerca di un donatore totalmente compatibile con il bimbo. Al Bambino Gesù verrà sottoposto ad una tecnica di trapianto innovativa: il trapianto di midollo da genitore con una metodica di manipolazione delle cellule staminali.

Sarebbero già iniziati i test sui genitori, non si sa se il padre (un veronese) o la madre risulterà il più compatibile.

 

LA MALATTIA.  Alessandro Maria è affetto da linfoistiocitosi emafagocitica primaria. Un difetto delle cellule del sistema immunitario, incapace di gestire e respingere le infezioni. La patologia - si legge sul sito del Bambino Gesù - colpisce circa 1 nuovo nato su 50.000 (quindi il numero di nuovi casi attesi in Italia è stimabile attorno a una decina l’anno) ed è frequentemente scatenata da un’infezione virale. Il rapporto tra maschi e femmine è di circa 1:1.

 

E’ una malattia autosomica recessiva, entrambi i genitori cioè sono portatori sani del gene responsabile della patologia e a ogni fecondazione la coppia ha un rischio del 25% di generare un figlio con la malattia. Dopo anni di ricerche è stato identificato il difetto che causa questa condizione. Si tratta della mancanza di una proteina essenziale per eliminare i virus che attaccano i linfociti: nel 40% dei casi è la perforina, in un altro 30% dei casi è Munc13-4, in casi più rari Syntaxin 11. Si manifesta nel primo anno di vita nel 70% dei bambini. Solo il 10% dei casi ha un esordio nel periodo neonatale. I sintomi più comuni sono rappresentati da febbre intermittente e da un ingrandimento progressivo di fegato e milza. Sintomi da riferire al sistema nervoso centrale, quali irritabilità, convulsioni, deficit dei nervi cranici, atassia, rigidità nucale e segni aspecifici di ipertensione endocranica, sono diagnosticati nel 75% dei pazienti. In assenza di trattamento, la linfoistiocitosi emofagocitica primaria è rapidamente fatale con una sopravvivenza mediana di circa 2 mesi dall’esordio. La sopravvivenza a 5 anni è del 10% nei casi trattati con polichemioterapia e di circa il 70% in quelli curati con trapianto di cellule staminali emopoietiche. Per il trattamento della linfoistiocitosi emofagocitica primaria non ci sono farmaci approvati.

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