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«Erano sempre in due a disturbare quell’uomo»

Gino Capo, testimone
Gino Capo, testimone
Gino Capo, testimone
Gino Capo, testimone

Gino Capo, l’ultima persona a dare fisicamente la mano al sessantaquattrenne nordafricano nel tentativo di aiutare l’immigrato ad uscire dall’auto in fiamme, ha visto fuggire i ragazzi che da tempo tormentavano Ahmed. Sono di Santa Maria? «Non ne ho idea», risponde l’uomo, tra i principali testimoni sentiti dai carabinieri la sera del raccapricciante episodio, che forse doveva essere uno stupido scherzo ed è finito in modo orribile. Capo, origini mestrine, abita a Santa Maria da 12 anni, in una casa quasi confinante con il parcheggio privato in cui da mesi stazionava il rottame della Fiat Bravo. Aggiunge il testimone: «Ho sentito dire che uno dei due ragazzi indagati abita a tre chilometri da qui, l’altro a una decina. Comunque erano sempre in due quelli che venivano a tormentare Ahmed, ultimamente anche con petardi». Il soccorritore spiega: «I finestrini della Bravo non avevano vetri, perciò era facile tormentare l’immigrato. Eppure lui non rompeva le scatole a nessuno, fumava tanto e tendeva ad alzare il gomito, forse anche per scaldarsi». La sera del 13 dicembre non la dimenticherà mai: «Quella sera, la sera che è morto, l’ho preso per mano per aiutarlo ad uscire dall’auto. le fiamme erano già alte, la portiera non si apriva e lui aveva una gamba incastrata tra i sedili. Così è rimasto con il tronco mezzo dentro e mezzo fuori dalle lamiere, morto carbonizzato con le mani appoggiate sull’asfalto. A me il calore ha bruciato i capelli». C’è anche il rimpianto di non aver potuto fare di più: «Prima avevo cercato di spegnere l’auto con l’estintore che tengo nel furgone, purtroppo quasi scarico. Non mi è venuto in mente che in garage ne avevo un altro più grosso e più efficace». • P.T.

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