<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Nessuna violenza
La vittima del rogo
è morta asfissiata

Il rustico dove è morto il 66enne
Il rustico dove è morto il 66enne
Il rustico dove è morto il 66enne
Il rustico dove è morto il 66enne

La morte del bracciante polacco, trovato carbonizzato all’interno del rustico andato in fiamme la notte dell’Epifania a Marega di Bevilacqua, non sarebbe imputabile a cause violente. E, pertanto, è quasi certamente esclusa la responsabilità di terzi nella tragedia costata la vita a Jan Waligora, un 66enne che lavorava come stagionale nell’azienda agricola Spiazzi proprietaria del vecchio casolare distrutto dall’incendio. L’uomo si trovava all’interno dell’edificio, dove si rifugiava spesso a dormire, quando è stato assalito dalle esalazioni e dal fuoco sprigionati probabilmente da un camino o da una stufa, che non gli hanno dato scampo.

La versione della tragica fatalità, sostenuta sin dai primi accertamenti dai carabinieri della stazione di Minerbe e del Nucleo operativo e Radiomobile di Legnago intervenuti sul posto, è stata confermata dall’autopsia eseguita nell’obitorio dell’ospedale «Mater salutis» dalla dottoressa Chiara Laposata, il medico legale incaricato dal sostituto procuratore Maria Federica Ormanni, titolare dell’indagine. Se da un lato l’esame autoptico ha consentito di fare luce sulle cause della morte, dall’altro non ha permesso invece di dare un nome e un cognome a quel corpo devastato. Pertanto, lo stesso magistrato ha autorizzato ieri la comparazione del Dna della vittima con i campioni biologici prelevati ad uno dei suoi sei figli, l’unico presente in Italia: una 38enne che risiede a Casaleone e con la quale il bracciante aveva trascorso il Natale. Solo questo test darà la certezza definitiva sull’identità dell’uomo e si saprà quindi se quel cadavere irriconoscibile appartiene a Jasko, come Waligora veniva chiamato in paese. STE.NI.

Suggerimenti