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Il suo tornado fu abbattuto 25 anni fa
Il generale Bellini rivive l’incubo in Iraq

L’allora maggiore dell’Aeronautica a bordo di un tornadoBellini dopo la liberazione
L’allora maggiore dell’Aeronautica a bordo di un tornadoBellini dopo la liberazione
L’allora maggiore dell’Aeronautica a bordo di un tornadoBellini dopo la liberazione
L’allora maggiore dell’Aeronautica a bordo di un tornadoBellini dopo la liberazione

«Ho pensato tante volte che forse sarebbe stato meglio rientrare, ma non è nel mio carattere venir meno ad un impegno preso quando avevo fatto il giuramento». Il generale Gianmarco Bellini, nativo di Crosare, frazione di Pressana, ripensa al 17 gennaio del 1991, quel giorno di 25 anni fa in cui iniziava l’operazione «Desert Storm» per la liberazione del Kuwait invaso da forze militari irachene. Siamo riusciti a contattarlo in Virginia, dove fa l’istruttore di volo e vive con la moglie americana, ma di origini italiane. Ricorda ancora il minuto preciso in cui il tornado da lui condotto assieme al capitano Maurizio Cocciolone (Bellini era maggiore, ndr) venne abbattuto dalla contraerea irachena, dopo aver bombardato un deposito di munizioni di Saddam Hussein.

L’aereo di Bellini era stato l’unico ad essere riuscito a fare rifornimento in volo e ad aver scelto di portare a termine la missione, nonostante le proibitive condizioni del tempo. Gli altri sette tornado, per vari problemi e guasti, erano rientrati alla base di Al Dhafra. Il pilota dell’Aeronautica ha parole di comprensione per i compagni: «Al mio posto, quella notte, tutti quelli della missione avrebbero fatto quello che ho fatto io». Emilio Fede e il neonato Studio Aperto diedero la notizia all’Italia intera e per qualche giorno non si conobbe la sorte dei due piloti italiani. «Venni a sapere dell’abbattimento del tornado la mattina del 18 gennaio», ricorda il sindaco di allora Gino Conterno. «Avevo trascorso la sera prima in compagnia di Giulio, il padre di Gianmarco, a cui ero legato da un rapporto di amicizia. Ero sconvolto e corsi da lui, lo trovai molto turbato e cercai di incoraggiarlo».

Bellini e Cocciolone furono fatti prigionieri. Pochi giorni dopo la tv irachena mostrò le immagini dell’interrogatorio di Cocciolone, ma nessuno sapeva che fine avesse fatto il maggiore Bellini. A Crosare la gente cercava di mostrare vicinanza e solidarietà ai due maestri elementari Giulio e Mafalda, benvoluti dall’intera comunità. Don Giorgio Villatora, storico parroco della frazione, era come un angelo per la famiglia Bellini. La prigionia dei due militari durò 47 lunghi giorni. «Siamo stati trattati abbastanza male», racconta oggi il comandante. «Non potevamo avere alcun contatto con le guardie perché la detenzione aveva lo scopo dichiarato di debilitarci fisicamente e psicologicamente oltre che di umiliarci». Alla fine della guerra, gli iracheni lavarono e sbarbarono i prigionieri, per renderli più presentabili, e li affidarono alla Croce Rossa. Bellini e Cocciolone si rividero ai primi di marzo, a bordo di una nave ospedale americana. Intanto, a Crosare, don Giorgio, avuta dalla famiglia la notizia ufficiale della liberazione, suonò le campane a festa. «Finalmente quei giorni davvero brutti e difficili erano finiti, non vedevamo l’ora di riabbracciare il nostro illustre concittadino», riflette Conterno.

«Chiamai con un telefono satellitare che mi era stato prestato», riferisce il generale Bellini. «Rispose mio padre, ma io non riconobbi subito la sua voce e riattaccai. Poi richiamai e la seconda volta riconobbi tutti». Il maggiore fece ritorno al suo paese, tappezzato di manifesti e striscioni. Ricevette abbracci e strette di mano da tutti. «Fu un enorme sforzo organizzativo per un centro così piccolo», rammenta Bellini. «I miei compaesani mi dimostrarono un grande affetto e furono vicini alla mia famiglia. Penso spesso alla grande forza dei miei cari, dei miei fratelli e dei miei colleghi nell'affrontare quel periodo così intenso. Io, tutto sommato, non ebbi tempo per pensare e preoccuparmi: ero là che combattevo per la mia vita».

Paola Bosaro

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