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Delitto El Archi, assolti i due imputati accusati di omicidio

Il fossato ad Albaro in cui venne trovato Mohammed El Archi, ucciso tra il 14 e il 15 ottobre 2009
Il fossato ad Albaro in cui venne trovato Mohammed El Archi, ucciso tra il 14 e il 15 ottobre 2009
Il fossato ad Albaro in cui venne trovato Mohammed El Archi, ucciso tra il 14 e il 15 ottobre 2009
Il fossato ad Albaro in cui venne trovato Mohammed El Archi, ucciso tra il 14 e il 15 ottobre 2009

Fabiana Marcolini Delitto El Archi del 15 ottobre 2009: assolti Fabio Piga, posatore di parquet di Isola Rizza, e Giuseppe Laversa dall’accusa di omicidio con la formula più ampia, «per non aver commesso il fatto». La Corte d’Assise presieduta da Sandro Sperandio (Paola Vacca a latere) ha assolto Piga anche dall’accusa «di aver effettuato plurimi acquisti di cocaina nella misura di un chilo al mese da El Archi» ma lo ha condannato a due anni e mezzo di reclusione e 4.000 euro, dopo aver riqualificato il fatto, per «plurime cessioni di droga» in modica quantità. L’artigiano difeso da Stefano Gomiero, alla lettura del dispositivo della sentenza, è rimasto immobile. Così come era rimasto immobile quando il pubblico ministero Valeria Ardito aveva chiesto per lui e per Laversa (difesa Andrea Marvasi) la condanna al carcere a vita, per Piga aggravato dall’isolamento diurno per sei mesi. Immobile ma alleggerito da un macigno, da un’accusa che si portava dietro dal luglio 2010, quando venne arrestato. Fu il tribunale del Riesame di Venezia nell’agosto dello stesso anno ad annullare l’ordinanza ritenendo che «la ricostruzione accusatoria rimane una mera prospettazione ipotetica che non trova adeguato fondamento e sicuro ancoraggio a dati concreti e fondati». L’accusa era rimasta la stessa. E nel corso della requisitoria il pm aveva sottolineato che la vittima era stata «attirata in una trappola e che i movimenti dei due imputati, le celle aperte e i transiti, erano compatibili con la zona del delitto. Non ho la pistola fumante non sappiamo se c’erano altri ma loro due si». E aveva chiesto l’ergastolo per entrambi. Una tesi non accolta dall’Assise e tra 90 giorni saranno depositate le motivazioni. «CREDO NELLA GIUSTIZIA» Dal giorno dell’arresto non ha più parlato, «lo fece quando seppe della morte di El Archi che era un amico», aveva ricordato il suo legale in arringa, «Piga andò spontaneamente dai carabinieri a dire che il 14 ottobre lo aveva accompagnato a Ronco. E da quel momento è diventato il maggior sospettato». Si è avvalso della facoltà di non rispondere anche in Assise ma ieri, prima che la Corte si ritirasse in camera di consiglio, ha letto alcune dichiarazioni. «Ho ascoltato in silenzio tutto il processo, ho creduto e credo ancora nella giustizia che mi ha ridato la libertà il 10 agosto 2010 ma dopo aver sentito la richiesta del pubblico ministero non posso non far sentire la mia voce, la parola ergastolo rimbomba nella mia testa come un incubo». Con lo stesso tono, quello di chi da 7 anni convive con un’accusa tremenda che ha sempre respinto, ha proseguito: «Mi chiedo come mi si possa accusare di avere ucciso a sangue freddo un amico per un debito inesistente». Ha ricordato che nel corso di due anni in cui il suo telefono era controllato dai carabinieri non sia stato trovato addosso a lui un grammo di droga. Ha parlato anche di un suo amico (il testimone che lo accusa e che nel corso della deposizione è stato più volte ripreso dal presidente): «è lui che mi ha venduto, mi stupisce, lui ha portato la droga nella mia vita e mi dispiace di non aver ascoltato i miei genitori e mia moglie. Se fossi uno spacciatore non mi alzerei tutti i giorni alle sei del mattino per lavorare anche 12 ore, non combatterei con le rate del mutuo della casa. Confido che vaglierete ogni cosa, e continuo a credere nella giustizia». Un omicidio che fin dall’inizio presentava le caratteristiche di un regolamento di conti: El Archi, noto con il nome «Francesco» era inserito nel mondo dello spaccio. Era rientrato dal Marocco, il 14 sera uscì di casa (non aveva l’auto) ma non rientrò più: venne ritrovato, ucciso con quattro colpi di pistola, in una capezzagna che costeggia un canale per l’irrigazione ad Albaro di Ronco all’Adige. L’ultimo a vederlo vivo fu Piga che con Laversa lo attirò in trappola. Una tesi che l’Assise ha respinto. Assolti entrambi. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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