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Stamina all’estero, Vannoni
fermato prima della «fuga»

L'imputato Davide Vannoni durante l'udienza   in Tribunale
L'imputato Davide Vannoni durante l'udienza in Tribunale
L'imputato Davide Vannoni durante l'udienza   in Tribunale
L'imputato Davide Vannoni durante l'udienza in Tribunale

TORINO

Aveva esportato Stamina all’estero, in Georgia. E voleva continuare anche sul Mar dei Caraibi. Dopo due anni Davide Vannoni, promotore infaticabile di una terapia già bocciata da giudici e autorità sanitarie, finisce nuovamente in carcere. I carabinieri del Nas sono andati ieri mattina nella sua casa di Moncalieri (Torino), gli hanno spiegato che era in «stato di fermo» e lo hanno portato alle Vallette. Sembra che fosse sul punto di partire per Santo Domingo: perché è lì, secondo gli investigatori, che intendeva riproporre la sua consueta «ricetta segreta» basata sull’utilizzo di cellule staminali del midollo osseo per la cura di varie malattie neurologiche.

Per finanziarsi aveva da poco venduto la sua lussuosa Porsche. E pensare che aveva deciso di smettere. O almeno così era parso. Il 18 marzo 2015 Vannoni uscì dal maxi processo di Torino patteggiando ventidue mesi di reclusione (con la condizionale) dopo avere rinunciato, come certificò il gup Potito Giorgio, a qualsiasi iniziativa di rilancio di Stamina. Nell’estate del 2016, però, si scoprì che alcuni gruppi di italiani erano saliti in Georgia, al «Mardaleishvili medical center» di Tbilisi, per sottoporsi alla metodica. I carabinieri e i pm Vincenzo Pacileo e Alessandro Aghemo accesero un faro e informarono il Ministero della Salute: a dicembre, una volta ricevuta la documentazione dall’Italia, il governo georgiano decretò lo stop.

LA PROCURA piemontese aprì un nuovo fascicolo ipotizzando l’associazione per delinquere (aggravata dalla transnazionalità), la truffa e la somministrazione di farmaci non conformi. Ma Vannoni continuò. Ai Nas risulta che avesse intrecciato dei contatti in Ucraina, in Bielorussia e persino in Georgia, dove forse sperava di tornare grazie a qualche appoggio in loco. Ai primi di marzo i pm chiesero un ordine di custodia cautelare. Ieri, visto il «pericolo di fuga», sono entrati in azione con un decreto di fermo, senza attendere il tribunale. L’accusa si riferisce alle attività georgiane. Gli indagati, oltre a Vannoni, sono sette. Sarebbero una cinquantina, invece, gli italiani che a Tbilisi hanno sperato di combattere con Stamina le più terribili malattie neurodegenerative: dall’Alzheimer alla Sla e ad altre ancora. Pazienti «reclutati in Italia» (il termine è quello adoperato dagli inquirenti) e indotti a versare dapprima una specie di quota di iscrizione pari a cinquemila euro, e poi, a seconda dell’intensità del trattamento, fino a 27 mila.

In questa avventura Vannoni è stato aiutato da un gruppo di fedelissimi. Come la biologa Erica Molino, sua storica assistente (patteggiò 19 mesi di reclusione), indagata e oggetto di una perquisizione in provincia di Cuneo. E come la signora Rosalinda La Barbera, mamma di una bimba affetta da una gravissima patologia, da anni paladina del diritto di poter scegliere anche Stamina. Nella veste di presidente di Prostamina Life è stata indagata e oggetto di una perquisizione in provincia di Palermo.

La vicenda del metodo ideato Vannoni, vede, con l’apertura di un nuovo fascicolo, un’ulteriore tappa di una inchiesta giudiziaria, che dal 2011, ha coinvolto anche gli Spedali Civili di Brescia, dove in seguito alle pressioni arrivate da diverse istituzioni politiche e sanitarie, il metodo venne applicato fino alla primavera dell’anno seguente. Fino a che i carabinieri dei Nas e l’Aifa non lo chiusero aprendo la fase delle infusioni imposte dai giudici del lavoro su istanza delle famiglie dei pazienti. Di quella vicenda, dopo patteggiamenti e riti abbreviati, è ancora aperto il procedimento nei confronti di 4 medici del Civile, gli unici nel processo a scegliere di andare al dibattimento. Che andrà a sentenza il prossimo 23 maggio.

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