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A prova di bomba

Il nuovo ponte della Motta a San Bonifacio, sollevabile in caso di piena dell’Alpone
Il nuovo ponte della Motta a San Bonifacio, sollevabile in caso di piena dell’Alpone
Il nuovo ponte della Motta a San Bonifacio, sollevabile in caso di piena dell’Alpone
Il nuovo ponte della Motta a San Bonifacio, sollevabile in caso di piena dell’Alpone

Evento meteo estremo: come risponderebbe oggi il territorio messo a durissima prova nel novembre di otto anni fa? Partendo dai recenti casi di cronaca, dai disastri seminati in giro per l’Italia dalle cosiddette «bombe d’acqua» e guardando all’autunno dietro l’angolo, abbiamo fatto il punto rispetto alla messa in sicurezza idraulica di Monteforte d’Alpone, Soave e San Bonifacio, i tre centri dell’Est veronese alluvionati nel 2010. Il cuore è San Bonifacio, crocevia di tre importanti corsi d’acqua che furono quelli al centro dell’evento: al Ponte della Rezzina confluiscono il Chiampo che arriva dal vicentino e l’Alpone che scende dalla Val d’Alpone e qui, sotto la spinta del Chiampo, venne giù un ampio tratto di argine destro dell’Alpone che allagò Monteforte. Più a valle, al ponte sulla strada regionale 11, confluiscono l’Alpone (che già contiene il Chiampo) e il Tramigna che arriva da Soave: nel 2010 l’Alpone in piena cacciò indietro il Tramigna che esondò in centro a Soave, facendo crollare i muretti che lo contenevano e nel maggio del 2013 venne giù un tratto di argine a ridosso del ponte, in sinistra Tramigna. Il terzo punto nevralgico è ancora più a valle, nel centro abitato a San Bonifacio, al ponte della Motta sotto cui scorre l’Alpone (che ha inglobato a monte sia il Chiampo che il Tramigna): tanto nel 2010 quanto nel 2013, senza contare le numerosissime piene meno paurose, questo venne sommerso e il deflusso delle acque venne ostacolato dall’effetto rastrello delle pile di sostegno del ponte stesso. Oggi, però, quel vecchio ponte è solo un ricordo: ampliato a monte e a valle l’alveo dell’Alpone, il ponte è stato completamente rifatto ed è una struttura mobile in grado di sollevarsi in caso di piena. Tutto fatto tranne l’inaugurazione che, dopo una montagna di rinvii, dovrebbe aver luogo il prossimo mese. Risalendo il corso dell’Alpone la Regione Veneto, attraverso il Genio civile di Verona, ha posto rimedio in due modi anche alla criticità manifestatasi alla confluenza tra Alpone e Tramigna: grazie a una donazione è stata ripristinata la paratia che divide il Tramigna dall’ Alpone e che consente a quest’ultimo di scaricare lentamente la piena nel bacino di San Lorenzo. Si chiama appunto così l’area di 36 ettari che può contenere fino a 860 mila metri cubi d’acqua: l’opera non è conclusa, perché giusto di recente la Regione ha messo a disposizione le risorse aggiuntive che si rendono necessarie per la messa in sicurezza del rilevato autostradale limitrofo al bacino, ma è utilizzabile nella parte più a monte, cioè nei pressi del centro abitato. Fu qui che otto anni fa il Tramigna, spinto dall’Alpone, esondò violentemente trascinando con sé anche i muretti di contenimento del torrente di piazza Castagnedi. Anche questi muretti sono stati completamente rifatti e innalzati per tutta la tratta di Tramigna che corre in centro abitato. Conclusi e in attesa di collaudo (e di inaugurazione) sono infine i lavori dell’invaso Colombaretta, in territorio di Montecchia di Crosara: per «alleggerire» il nodo del ponte della Rezzina e mettere in sicurezza anche l’abitato di Monteforte d’Alpone la Regione ha infatti pensato a un invaso in Val d’Alpone capace di contenere l’Alpone in caso di piena. È nata per questo la doppia cassa di Montecchia che può contenere fino a un milione e 108mila metri cubi d’acqua. Il cantiere è stato smobilitato, le operazioni di collaudo sono al via ma l’invaso, come ha comunicato il Genio civile ai sindaci dei paesi interessati, è già pienamente operativo. Non è la soluzione definitiva al problema del rischio idraulico nell’estremo Est veronese come non lo sono gli altri interventi realizzati: Colombaretta, San Lorenzo e il nuovo ponte della Motta, infatti, sono solo tre dei quattro presidi di messa in sicurezza idraulica. Quello che manca (ormai dal 1992) è la possibilità di trattenere a monte le piene del Chiampo che negli anni hanno causato non pochi problemi ad Est: la soluzione, stavolta, passa per l’ampliamento del bacino di Montebello (oggi al servizio del Guà) con una cassa utilizzabile alla bisogna per aumentare la capacità di invaso del Guà oppure per il Chiampo. L’ampliamento della capacità a quasi 10 milioni di metri cubi d’acqua ha un costo di realizzazione di 51 milioni di euro, lavori che la Regione conta di appaltare entro fine 2018. •

Paola Dalli Cani

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