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Libri viventi, centinaia
al sit-in: «No censure»

Libri portati alla Civica per dire no alla censura FOTO MARCHIORIUn gruppo di cittadini manifesta davanti alla Biblioteca civica
Libri portati alla Civica per dire no alla censura FOTO MARCHIORIUn gruppo di cittadini manifesta davanti alla Biblioteca civica
Libri portati alla Civica per dire no alla censura FOTO MARCHIORIUn gruppo di cittadini manifesta davanti alla Biblioteca civica
Libri portati alla Civica per dire no alla censura FOTO MARCHIORIUn gruppo di cittadini manifesta davanti alla Biblioteca civica

Torna la parola «censura» in tutti i cartelli preparati in fretta, sull’onda del tam tam diffuso grazie a Facebook, che ha portato qualche centinaia di cittadini di età molto varia a riunirsi, ieri pomeriggio davanti alla biblioteca civica di via Cappello, per protestare con un sit-in contro la decisione del Comune e degli organizzatori del Tocatì di cancellare dal programma del festival l’appuntamento dei libri viventi, che si sarebbe dovuto svolgere ieri e oggi.

«È tutto partito da Facebook e qui, oggi, al di fuori di qualsiasi sigla o associazione di appartenenza, siamo presenti in quanto cittadini offesi nella loro libertà», spiega Erica Tessaro, che tiene in mano un cartello con la scritta «#censurata». Se i libri con storie di omosessualità avevano fatto insorgere il Popolo della famiglia, la «censura» ha fatto insorgere il popolo di chi crede che la questione gender non sia (non più) un tabù. I cartelli che lo rivendicano sono tanti. Uno per tutti: «Censurata libertà d’incontro e di confronto». In esposizione, libri come «La lingua perduta delle gru» di David Leavitt e «Maurice» di E.M. Forster.

Tra i presenti, c’è anche uno dei libri viventi, vale a dire una persona che da sette anni partecipano al format promosso dalla Fondazione San Zeno (si tratta di un format del Consiglio d’Europa ideato per rompere pregiudizi e stereotipi) e il cui libro - la cui storia - si intitola «Diversamente amare». È Andrea di Martino: «Sono qui in quanto cittadino», spiega, «al di là dell’essere un libro vivente. Mi sento, in quanto cittadino, umiliato e offeso. Abbiamo portato le nostre storie nelle scuole, le abbiamo raccontate anche in primavera agli studenti, l’anno scorso al Tocatì non ci sono stati problemi, ora che succede?».

Tra i partecipanti, professionisti, professori, studenti, persone impegnate nel volontariato, universitari: un mondo molto eterogeneo.

Sulla decisione di annullare l’evento il sindaco Federico Sboarina, dopo un confronto con gli organizzatori, aveva spiegato che i temi della discriminazione si devono affrontare in sedi adeguate e non in un evento dedicato ai giochi. « Io sono contrario alle discriminazioni, per qualsiasi categoria di persone, il rispetto dell’altro è uno dei pilastri della nostra civiltà. Sono, però, convinto che ci debbano essere modi, tempi e luoghi per il confronto e per trattare i singoli contenuti».

«È evidente che il Tocatì ha tradito il suo spirito iniziale ed è diventato ben altro», ribatte Gianni Zardini del Circolo Pink. «Il marchio del festival è stato creato dal disegnatore Gianni Burato che prestava la sua opera nel giornale satirico “Verona infedele“. Perchè gli organizzatori del festival non si sono opposti alla cancellazione? A terrorizzare è forse il titolo “Mio figlio è gay“? Vuol dire che a Verona non ci sono figli gay o se ci sono è meglio nasconderli come una vergogna?».

A Verona si continuano comunque a celebrare unioni civili al ritmo di cinque al mese (67 da agosto 2016).

Alessandra Galetto

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