<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

La Nona è un capolavoro
chiunque si emoziona

Saimir Pirgu tornerà in Arena per la Nona Sinfonia
Saimir Pirgu tornerà in Arena per la Nona Sinfonia
Saimir Pirgu tornerà in Arena per la Nona Sinfonia
Saimir Pirgu tornerà in Arena per la Nona Sinfonia

Il Metropolitan di New York, la Scala di Milano, la Staatsoper di Vienna, la Royal Opera House di Londra, l’Opernhaus di Zurigo, la Fenice di Venezia, il Bol’šoj di Mosca, la Deutsche Oper di Berlino, l’Opéra di Parigi e il Liceu di Barcellona: sono solo alcuni dei teatri in cui ha cantato il tenore Saimir Pirgu, giovane astro della lirica nato in Albania e residente a Verona. In Arena è stato Don Ottavio (Don Giovanni) e il Duca di Mantova (Rigoletto) e il 15 agosto tornerà per la «Nona Sinfonia» di Ludwig van Beethoven.

Quale significato ha per lei cantare in una sinfonia che celebra la fratellanza universale?

«È un onore di cui sono grato alla Fondazione Arena perché a noi cantanti non capita spesso di poter partecipare a una sinfonia e la «Nona» è un capolavoro in cui le parti dei solisti sono molto delicate. Poi capisco quanto sia forte il suo effetto sulla gente: chiunque si emoziona ascoltando l’Inno alla gioia. E, anche se questi sono tempi cupi, speriamo sempre di poterla risentire in un futuro più luminoso».

Anton Haizinger, il primo tenore che cantò la «Nona», era allievo di Antonio Salieri, ma pure lei ha avuto grandi maestri.

«Si potrebbe quasi pensare che sono nato con la camicia... Dopo essere stato scoperto da Vito Maria Brunetti a Bolzano, ho avuto la fortuna sia di cantare da subito con i più grandi direttori d’orchestra, sia di poter studiare e perfezionarmi con Luciano Pavarotti».

I nomi cardine della sua formazione?

«Li dividerei in tre fasi: Alberto Zedda e Claudio Abbado sono stati i primi a credere in me, Idomeneo con Nikolaus Harnoncourt ha segnato la svolta internazionale e infine Riccardo Muti mi ha... consacrato scegliendomi per il Requiem di Verdi a Salisburgo nel 2011. Sul fronte canoro, Pavarotti è stato la ciliegina sulla torta: ogni volta che avevo un dubbio o mi serviva un consiglio, potevo contare su di lui».

Di recente ha riscosso grande successo all’estero grazie a Król Roger di Karol Szymanowski, opera difficilissima da ascoltare in Italia. Quali altri titoli meriterebbero maggiore attenzione nei nostri teatri?

«Königskinder di Engelbert Humperdinck, Wozzeck di Alban Berg, La damnation de Faust di Hector Berlioz e le opere di Igor Stravinskij. Però per me Król Roger è arrivato in un momento particolare: a Londra avevo già cantato La traviata, Rigoletto e Gianni Schicchi e mi è sembrato giusto tornarci con un titolo nuovo anche per me. La produzione, diretta da Antonio Pappano, è stata pure nominata ai Grammy, quindi doppia soddisfazione!».

A fine anno debutterà in Madama Butterfly a Zurigo. Pinkerton non è un tipo facile da far amare…

«Diciamolo pure: è odioso. Mi sono rifiutato di farlo per parecchio tempo, ma ora c’è l’occasione giusta: una nuova produzione in un teatro in cui mi trovo molto bene. Vedremo come andrà».

Quali sono i progetti futuri e quale il ruolo che, pur amandolo, non farà mai?

«L’obiettivo è ampliare progressivamente il repertorio verdiano lirico (a ottobre sarò Gabriele Adorno in Simon Boccanegra al San Carlo di Napoli), mentre un ruolo che mi affascina, ma a cui dubito di poter arrivare (a meno che la mia voce non cambi) è Des Grieux in Manon Lescaut.

Trova ancora il tempo per suonare il violino?

«A volte sì. A casa ne ho due (uno antico e uno acquistato di recente), ma il periodo migliore per suonare è il Natale, quando sono a Verona con i parenti».

Suggerimenti