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Renzi rimette il mandato
«Governo con tutti
o voto dopo la Consulta»

Matteo Renzi lascia il Quirinale dopo aver presentato le dimissioniIl saluto di Matteo Renzi postato sul suo profilo Twitter
Matteo Renzi lascia il Quirinale dopo aver presentato le dimissioniIl saluto di Matteo Renzi postato sul suo profilo Twitter
Matteo Renzi lascia il Quirinale dopo aver presentato le dimissioniIl saluto di Matteo Renzi postato sul suo profilo Twitter
Matteo Renzi lascia il Quirinale dopo aver presentato le dimissioniIl saluto di Matteo Renzi postato sul suo profilo Twitter

Serenella Mattera

ROMA

Matteo Renzi si è dimesso. Dopo la messa in sicurezza dei conti pubblici con un’approvazione lampo della manovra, il presidente del Consiglio alle 19 di ieri è tornato al Quirinale e dopo un colloquio con il capo dello Stato, Sergio Mattarella, durato circa 40 minuti, ha formalizzato il passo indietro annunciato domenica notte, mentre le urne sancivano una netta vittoria del No al referendum. Si è dunque ufficialmente aperta la crisi di governo.

Mattarella, che ha accettato le dimissioni di Renzi ma con riserva, avvierà a partire da oggi le consultazioni con le alte cariche dello Stato e i gruppi parlamentari. A loro Renzi ha passato la palla: «Non decido io, i partiti, tutti i partiti, devono assumersi le loro responsabilità». Ma il premier dimissionario, nel corso del suo intervento alla direzione del Pd che ha preceduto la sua terza salita al Colle in tre giorni, ha indicato due vie: elezioni subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum attesa per il 24 gennaio o un governo di responsabilità nazionale con una maggioranza larga, fino alla fine della legislatura. «Il Pd non ha paura di niente e di nessuno. Quindi se le altre forze politiche vogliono andare a votare dopo la sentenza della Consulta, lo dicano», ha voluto sottolineare.

La giornata si è aperta con l’atteso voto sulla legge di bilancio del Senato. La fiducia è passata con 173 sì e 108 no, al voto finale i sì sono stati 166: una dimostrazione, ha sottolineato la sinistra Pd, del fatto che esiste ancora una maggioranza politica in grado di sostenere un governo.

Per l’Italia oltre alla crisi di governo, c’è anche il giudizio negativo dell’agenzia Moody’s, che ha rivisto al ribasso le prospettive del nostro Paese, tagliando l’outlook a «negativo» da «stabile» e confermando il rating «Baa2». A pesare sono i lenti progressi nelle riforme, le cui prospettive sono ulteriormente diminuite con la vittoria del no al referendum. Ma Renzi ha rivendicato una «ottima» manovra e l’orgoglio per «mille giorni straordinari» di governo.

Poco prima di riunire la direzione del Pd, è stata in una Enews (la newsletter cui affida un costante dialogo con i suoi elettori), che il premier ha tratteggiato le sue intenzioni: «Stiamo facendo gli scatoloni. Sono pronto a passare la campanella di Palazzo Chigi con un abbraccio al mio successore». Ma ha aggiunto che non ha intenzione di «disperdere la fiducia» espressa da «milioni di elettori» con il Sì al referendum. «È già tempo di rimettersi in cammino», ha annunciato confermando di voler restare in campo. In queste ore «c’è un boom di iscrizioni» al Pd, ha raccontato il segretario al «parlamentino» Dem riunito al Nazareno, che lo ha accolto con un lungo applauso (presente Bersani ma non c’era D’Alema). La tensione nel partito resta alta ma Renzi, che ha riservato una battuta amara a chi ha festeggiato il No («So che qualcuno lo ha fatto in modo prorompente e non elegantissimo. Lo stile è come il coraggio di Don Abbondio... »), ha rinviato a dopo il «duro confronto» interno e anche scenari come un soggetto a sinistra evocato dall’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. Prima c’è da affrontare la crisi di governo che si è aperta ieri sera verso le 20.

Da questo momento la partita è nelle mani del capo dello Stato che oggi alle 18, con i presidenti delle Camere e l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, aprirà le consultazioni, che si chiuderanno sabato con il Pd. Nella delegazione Dem (Guerini, Rosato, Zanda, Orfini) non ci sarà Renzi, ma il premier prima di dimettersi ha lasciato nero su bianco la sua proposta: o si forma un governo con largo sostegno che arrivi a fine legislatura («Vedremo cosa pensano anche i partiti del No, non solo quelli dell’attuale maggioranza») o si va a votare con l’Italicum così come sarà modificato dalla Consulta.

Un’ipotesi, quest’ultima, che non coincide con l’indicazione del presidente Mattarella che ritiene «inconcepibile» andare al voto con due leggi non omogenee. Un’ipotesi bocciata come «incomprensibile» anche dall’ex presidente Giorgio Napolitano. Dal Pd la minoranza (ma non solo) invoca un governo che intervenga sull’Italicum e sulle priorità economico-sociali. Ma Renzi in direzione ha messo in guardia il partito: «Anche altri devono caricarsi il peso di un governo, il Pd ha già pagato il prezzo di averlo fatto da solo».

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