<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Fatima colpevole: nove anni
alla prima jihadista italiana

Una foto tratta dal profilo Facebook della giovane «Fatima»
Una foto tratta dal profilo Facebook della giovane «Fatima»
Una foto tratta dal profilo Facebook della giovane «Fatima»
Una foto tratta dal profilo Facebook della giovane «Fatima»

Igor Greganti

MILANO

Non è soltanto la prima condanna nei confronti di un’italiana che starebbe combattendo a fianco dei soldati di Al Baghdadi ma è anche la prima sentenza a carico di «foreign fighters» partiti dall’Italia e che si troverebbero ancora nelle zone di guerra del sedicente Stato islamico. Nove anni di reclusione sono stati inflitti ieri dalla Corte d’Assise di Milano a Maria Giulia «Fatima» Sergio, la 29enne che dopo la conversione all’Islam e la radicalizzazione nell’autunno del 2014 partì per la Siria, Condannato a 10 anni di carcere anche il marito, l’albanese Aldo Kobuzi, e altre tre donne. A quattro anni invece il padre della giovane, Sergio Sergio, l’unico non latitante e agli arresti domiciliari.

Il caso di Maria Giulia Sergio, che quando abbracciò le idee fondamentaliste si diede il nome di «Fatima Az Zahara», non è solo la vicenda della prima donna italiana che ha raggiunto le terre del Califfato (successivamente è emersa anche quella di Alice Brignoli, partita dal Lecchese con marito e figli).

È anche la storia di un’intera famiglia, di origine campana e che viveva nel Milanese, che avrebbe voluto, secondo l’accusa, mettersi al servizio dell’Isis. Nel luglio del 2015, infatti, a seguito delle indagini della Digos, vennero arrestati Sergio Sergio, la moglie Assunta Buonfiglio (morì poco dopo essere stata scarcerata nell’ottobre 2015) e l’altra figlia Marianna Sergio, già condannata nei mesi scorsi per terrorismo internazionale a cinque anni e quattro mesi di carcere. Tutti e tre, secondo l’accusa, erano in procinto di partire da Inzago per la Siria per raggiungere «Fatima» che era già là, dopo aver contratto un «matrimonio combinato» con Aldo Kobuzi ed essere passata per la Turchia.

Quella figlia che tramite Skype rassicurava la madre sul fatto che nel cosiddetto Stato islamico c’era anche «la lavatrice» e, allo stesso tempo, presentava a genitori e sorella un quadro di questo genere: «Se voi qui vedete i mujaheddin cosa fanno per amore di Allah (...) lasciano case, soldi, mogli, figli, lasciano tutto e vengono qui, vanno a combattere (...) mujaheddin che hanno 15/16 anni che ammazzano 50 miscredenti, Dio è grande».

La Corte ha condannato a nove anni anche la «maestra indottrinatrice» Haik Bushra, cittadina canadese che si troverebbe in Arabia Saudita, mentre a otto anni sono state condannate Donika Coku e Seriola Coku (anche loro sarebbero in Siria), madre e sorella di Aldo Kobuzi.

I giudici hanno concesso le attenuanti generiche solo al padre di «Fatima», unico accusato di organizzazione del viaggio con finalità terroristiche, mentre gli altri cinque imputati rispondevano di terrorismo internazionale.

L’uomo, come ha ricordato il suo legale, l’avvocato Erika Galati, «non vuole più avere niente a che fare con le figlie», è tornato cattolico e si è sempre difeso sostenendo che lui voleva soltanto «riunire la famiglia» e che «subiva» la prepotenza delle figlie. «Tu ci hai sempre ingannato, hai fatto finta di essere un musulmano e ne risponderai davanti a Dio, pentiti davanti a Dio e all’unica religione che è l’Islam, tu che hai tradito anche la mamma», scriveva la giovane dal carcere al padre.

LE REAZIONI. «La foreign fighter nota con il nome di

Fatima è stata condannata a nove anni reclusione per terrorismo internazionale e organizzazione di viaggi a fine di terrorismo. Un provvedimento più che giusto nei confronti di chi combatte e arruola in favori dei tagliatori di teste. Occorre la massima severità nei confronti del terrorismo. Stupisce che contemporaneamente il governo amplii i rapporti con l’Iran che finanzia il terrorismo e pratica le inumane pene della sharia per cose che in Italia non sono punite neppure con la contravvenzione». Lo afferma in una nota Lucio Malan, senatore di Forza Italia.

LE MOSCHEE. L’uomo, come ha ricordato il suo legale, l’avvocato Erika Galati, «non vuole più avere niente a che fare con le figlie», è tornato cattolico e si è sempre difeso sostenendo che lui voleva soltanto «riunire la famiglia» e che «subiva» la prepotenza delle figlie.

«Tu ci hai sempre ingannato, hai fatto finta di essere un musulmano e ne risponderai davanti a Dio, pentiti davanti a Dio e all’unica religione che è l’Islam, tu che hai tradito anche la mamma», scriveva Marianna Sergio dal carcere al padre.

Suggerimenti