<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
None

Non lo vedo ma lo sento «Una storia nera tutta giocata sull'udito»

PATRIZIA RINALDI
Patrizia Rinaldi, in libreria con il romanzo Blanca (edizioni E/O)
Patrizia Rinaldi, in libreria con il romanzo Blanca (edizioni E/O)
Patrizia Rinaldi, in libreria con il romanzo Blanca (edizioni E/O)
Patrizia Rinaldi, in libreria con il romanzo Blanca (edizioni E/O)

Estate caldissima a Napoli, la vampa del sole che fa appiccicare gli indumenti, acceca, infastidisce nelle ore più afose, che fanno rintanare in casa. All'ufficio di polizia a Pozzuoli il commissario Martusciello si annoia. Non succede niente. Poi accade troppo: i ragazzi, che sono «le candele più deboli che si sciolgono al sole», cominciano a scomparire. Fuggono, sono rapiti? Patrizia Rinaldi, classe 1960, partenopea, gioca con i sensi privilegiando l'udito sulla vista, ma gioca anche con i colori e chiama il suo noir Blanca (edizioni E/O, 197 pagine, 9,50). Margherita, donna bellissima e fragile, va al commissariato: subisce violenze in casa, ma non ha la forza di fare denuncia. Verrà trovata morta pochi giorni dopo, un coltello da sub piantato nella schiena. Il terzetto composto da commissario Martusciello, ispettore Liguori e agente scelto Carità non riesce a far passi avanti nelle indagini; sarà proprio il commissario a chiedere, anche per provocazione, che tra gli investigatori entri una donna, che abbia un approccio diverso al caso. Entra in scena Blanca. Un noir molto femminile. C'è nel suo romanzo molta intuizione, molta maternità, molto amore, molta cura. Tutto intenzionale? Sì. Mi ero posta una sfida: mantenere una tensione narrativa, e spero di esserci riuscita, con toni oscuri, ma esaltando anche la percezione molto sensuale delle donne; un senso della realtà che non passa solo attraverso le immagini, dominanti nella nostra società, ma anche attraverso la parola e, addirittura, il non detto. Per questo ha immaginato Blanca, l'investigatrice, ipovedente? Blanca è soprattutto una donna non omologata, che non si piange addosso: ha accettato il suo limite, trasformandolo in una risorsa. Si occupa di décodage, cioè di decifrare i rumori di fondo, ma ai suoi sensi affinati aggiunge una sensibilità particolare. È forte, ma anche fragilissima e comunque vuole essere e sembrare più animosa di quello che si sente in realtà. Perché l'ha chiamata Blanca Occhiuzzi? Il nome Blanca, castigliano per Bianca, l'ho preso da Il tempo di Blanca, splendido romanzo di Marcela Serrano, perché la nonna della protagonista, Blanca, le consiglia continuamente di aver gran cura dei suoi occhi: «ti permettono di leggere e con la lettura non sarai mai sola». La mia Blanca, diventando quasi cieca, perde anche l'estrema salvezza delle parole scritte; potrebbe sentirsi sconfitta dalla vita, invece ce la fa. Il cognome Occhiuzzi è una beffa del destino, per una donna che chiamandosi così è diventata ipovedente. C'è un coro di personaggi femminili nel romanzo: da Carmén l'operaia, alle aristocratiche signore Di Somma, a Santina, la moglie di Martusciello, semplice e innamorata... Beh, c'è spazio anche per i caratteri maschili, anche se più defilati. Io volevo proprio parlare di donne e sottolinearne la diversa estrazione sociale. Mi affeziono ai tutti i miei personaggi: prima nascono loro, poi la trama. Sono particolarmente legata a Carmén, così piena di brio, anche un po' pazzariella, ma estremamente legata all'amica Margherita, tanto da volerla difendere anche da morta. Ne prende in custodia Ninì, la figlia dodicenne, la ragazzina dall'odore del glicine. Ma la vera protagonista è la maternità. I diversi tipi di maternità: maternità d'affitto, maternità carnale, maternità appassionata, persino invadente. Addirittura maternità crudele: senza svelare troppo del libro, c'è una madre assassina. Dice molto anche lo sfondo, Napoli: com'è riuscita a dipingerla in modo non oleografico? Io abito in una zona partenopea particolare: quella dei Campi Flegrei con l'odore di zolfo che esce dai tombini. Più noir di così... È un quartiere con una tradizione fortissima; c'era l'Italsider, una fabbrica che ha lasciato dietro di sé un forte senso civico nella popolazione. La zona era ricca di aggregazioni operaie, c'era una fornita biblioteca, un cinema. Il medico di fabbrica era mio padre. Ma tutto questo è una Napoli che di solito non si racconta e ne stiamo perdendo il senso etico. La mia città purtroppo va peggiorando. Il suo romanzo dalla trame intricatissime (ma quante cose voleva raccontare?) parla molto anche di giovani. Chi sono quelli che scompaiono? Purtroppo i ragazzi sono spesso uno sfregio per Napoli. Lo dico io, che ho un forsennato amore per i giovani, che lavoro con loro in laboratori a Nisida, l'istituto penale per i minori, e mi pregio di dire che è all'avanguardia. Il problema dei ragazzi di estrazione popolare nella mia città è la loro fragilità: ci sarebbe bisogno di maggior cura, di maggior «maternità». Tornando a Blanca, che ne pensano i colleghi di una donna ipovedente in polizia? Lei dà subito prova delle sue capacità straordinarie, tanto che gli altri le trovano quasi medianiche, esercitandole proprio su di loro; così il terzetto maschile arriva a stimarla. Liguori, l'aristocratico, la teme un po', anche se ne è affascinato; forse è con l'agente scelto Carità, che subito le offre un caffè, che Blanca è più in sintonia. Infine Blanca, fidandosi del suo istinto e prendendo anche dei rischi, risolverà il caso più importante, quello d'omicidio. L'appendice finale è struggente: come è uscita dalla sua fantasia? Ce n'era bisogno? Sì, era importantissimo raccontare come Blanca non fosse nata cieca perché spiega la continua commistione che c'è in lei tra le suggestioni del ricordo e le ombre del presente. Un modo molto femminile di guardare.

Suggerimenti